GLI UOMINI DELLA RSI: GIUSEPPE
SOLARO
COME HA SAPUTO MORIRE SOLARO
Tutta l'esperienza di Giuseppe Solaro, fino all'estremo
sacrificio, affrontato con una serenità e una fierezza che hanno
del sovrannaturale, è un fulgido esempio di fede, di passione italiana.
Di modesta famiglia (il padre era operaio delle
ferrovie e aveva altri due figli), egli seppe, attraverso molti sacrifici
e con ferrea volontà, giunger fino alla laurea . Nato nel 1914,
fu entusiastico elemento del GUF di Torino, combatté volontario
in Spagna e partecipò con onore all'ultima guerra mondiale, quale
ufficiale di complemento di artiglieria. Dopo l'8 settembre fu tra i primissimi
ricostruttori dei Fascismo torinese e fu Segretario Federale fino al sopraggiungere
del crollo.
Sapeva trasfondere la fede purissima che lo animava
in quegli italiani che avevano voluto raccogliersi attorno al vessillo
della rinascita e con mano ferma guidava il Fascismo torinese nel travagliatissimo
periodo che straziava la Patria. Ma non meno vasto e profondo era il contributo
di cultura e di opere che dedicava alla vita della Repubblica Sociale Italiana.
Già collaboratore dell'organo del GUF, trattava ora, sia nell'organo
Federale La Riscossa che su La Stampa i principali problemi
di quei momenti difficilissimi, e, in primo luogo, quello della socializzazione,
di cui era uno studioso competente e un convinto e fervente assertore.
Istituì, dopo la emanazione delle leggi relative, dei corsi di preparazione
operaia sull'economia socializzata e pubblicò opuscoli illustrati
accessibili al lavoratori. Un suo studio fu anche presentato al Duce e
fu particolarmente apprezzato. Viveva per la Causa e tutto se stesso aveva
votato alla Causa; in un modesto ambiente, nell’ammezzato della Federazione,
erano con lui la moglie e due tenere bambine. Il fervore, la fede degli
Italiani che credevano nella rinascita a nulla valsero e venne il giorno
del crollo, al quale Solaro non sapeva rassegnarsi.
Egli voleva, ora, soprattutto realizzare lo scopo
di tutelare le famiglie, gli averi e la vita dei fascisti e per questo
si assunse la responsabilità di intavolare trattative col CLN, con
la mediazione di Don Garneri, parroco dei Duomo, onde, evitare spargimento
di sangue. Avvennero alcuni incontri in Prefettura per concordare il trapasso
delle consegne. Egli, con grande altruismo, pose subito come condizione
che si escludesse qualsiasi riferimento alla sua sorte personale. Un ultimo
convegno avrebbe dovuto avvenire in Prefettura il giorno di venerdì
27 aprile per la ratifica degli accordi intervenuti: senonché nessuno
dei CLN si fece più vivo. Telefonò soltanto Don Garneri dicendo
che all'ultimo momento gli elementi dei CLN non vollero saperne di trattative
coi fascisti e tutto fu annullato. E qui bisogna ricordare un episodio
che fa onore tanto alla memoria di Solaro quanto all'ora Alto Commissario
per il Piemonte, Grazioli. I tedeschi avevano, a loro volta, intavolato
trattative col CLN, tendenti soltanto ad ottenere il ripiegamento indisturbato
dei loro reparti dalla frontiera alpina, e, per ottenere lo scopo, avevano
concentrato al Vallino, scalo commerciale della stazione di Porta Nuova,
alcuni vagoni carichi di esplosivi con la minaccia di farli saltare qualora
i patti non fossero stati conclusi ed osservati. Venuto ciò a conoscenza
di Solaro e Grazioli, entrambi intervennero con energia ed ottennero che
i vagoni venissero allontanati, e così fu sventata la minaccia di
distruzioni gravissime nel centro della città.
Si consegnò spontaneamente ad un colonnello
dei carabinieri di cui si riteneva amico, ma questi non poté o non
volle salvarlo.
Solaro non fu più rivisto dai suoi tre compagni
di sventura, i quali, nella stessa giornata del 28 aprile, vennero trasferiti
alla Questura centrale. L'indomani, domenica 29, nelle prime ore del pomeriggio
si aprì ad un certo momento lo sportellino della cella dov'erano
rinchiusi i tre camerati e si affacciò una bieca figura di partigiano
comunista, il quale disse con compiacimento: 'I1 vostro Solaro è
stato impiccato poco fa e la stessa sorte subirete anche voi tra breve'.
Il che, fortunatamente non si verificò.
Risultò poi che Solaro, al quale era stato
concesso di parlare con Don Garneri, dal quale sperava per lo meno un benevolo
intervento, venne portato dinnanzi ad una specie di tribunale partigiano
del quale facevano parte, tra altri, Osvaldo Negarville, fratello di Celeste
(che fu, oltre che parlamentare, anche Sindaco di Torino), Barbato (Pompeo
Colaianni) e un comandante Maian, non meglio identificato. A Solaro venne
attribuita, fra le tante altre, anche la responsabilità dell'impiccagione
di quattro partigiani in Corso Vinzaglio, come rappresaglia per l'uccisione
di Camicie Nere della Divisione Leonessa. Responsabilità da cui
Solaro era completamente immune, poiché la rappresaglia era stata
unicamente opera dei tedeschi. Conseguenza fu che Solaro venne condannato
a subire, a sua volta, l'impiccagione nello stesso sito di Corso Vinzaglio.La
radio, alle ore 13, aveva dato notizia della condanna, aggiungendo che
alle 14 avrebbe avuto luogo l'esecuzione insieme a quella di altri tre
fascisti; ma all'ultimo momento il supplizio venne riservato al solo Solaro.
Egli venne caricato su di un camion alla
Caserma Bergia, e con lui fu fatto salire anche Don Garneri per l'assistenza
spirituale; il tragitto fino al luogo dell’esecuzione avvenne fra sputi
e contumelie.
Naufragata ogni speranza di un pacifico trapasso
di poteri, fu stabilito il ripiegamento delle forze fasciste, che vennero
concentrate nella Caserma Bergia della GNR, in Piazza Carlina; la colonna
partì nella notte verso la Lombardia. Ma i mezzi di trasporto erano
scarsi, e vi erano dei familiari, donne e bambini, e dei feriti da porre
in salvo, per cui non vi era posto per tutti. Coloro che partirono si salvarono,
poiché furono concentrati poi a Coltano e, dopo i soliti processi
e le non meno solite condanne, poterono, col tempo, fruire delle amnistie;
e così sarebbe stato anche per Solaro. Ma egli preferì cedere
il suo posto nella colonna ad altri e restò, con alcuni dei più
fedeli, in città, passando la notte negli uffici dei Consorzio dei
latte, di cui era Commissario uno dei Vice Federali, Astengo. Questi, il
mattino successivo, fidando sulla bontà di elementi dello stesso
Consorzio (il cui stabilimento era in corso Stupinigi ora Corso Unione
Sovietica, e gli uffici in Via Ospedale, ora Via Giolitti, angolo Via Carlo
Alberto, dov'erano Solaro e compagni), propose di consegnarsi ai membri
dei CLN dello stesso Consorzio. Questi vennero, ma presero con sé
il solo Astengo, dicendo che sarebbe tornato il camioncino a prendere gli
altri. Dopo parecchio tempo venne un camion, ma era condotto da
partigiani installatisi nella Caserma Bergia, dove Solaro e altri tre camerati
vennero riportati. Rimasero colà tutta la notte del 28, assistendo
a scene selvagge di percosse e maltrattamenti inflitti a fascisti ed ausiliarie,
mentre vennero risparmiati i quattro, che risultavano ancora sconosciuti
ai loro carcerieri. Erano già in servizio carabinieri ancora in
borghese, i quali fecero quanto potevano per frenare gli istinti belluini
dei partigiani col fazzoletto rosso, assetati di sangue. Solaro si presentò
poi alla Caserma Cernaia, che era stata sede della Brigata Nera 'Ather
Capelli', della quale Solaro, come Federale, era stato comandante, e che
è situata, si può dire, a pochi metri da Corso Vinzaglio;
qui vennero scattate fotografie, fra cui quella che pubblichiamo.
In tutto questo frattempo il contegno di Solaro
fu improntato a grande e serena fierezza, nessun segno di debolezza, ma
la cosciente, intima forza derivante dalla certezza di immolarsi per una
Causa in cui aveva fermamente creduto e che un giorno avrebbe finito col
trionfare.
In un primo tempo la macabra scena dell'impiccagione
fallì, poiché il ramo cui era stato appeso il martire si
ruppe ed egli rimase in vita. In altri tempi pare che gli scampati ad un'esecuzione
capitale venissero graziati; ma questo non fu il caso di Solaro, i cui
carnefici si affrettarono a ripetere l'operazione con un ramo più
robusto, e questa volta, per loro, la cosa andò bene.
La scena obbrobriosa che ricorda, per la sua bestiale
efferatezza, Piazzale Loreto, avvenne in seguito. Le spoglie, sempre col
cappio al collo, vennero legate ad uno dei traversini che sorreggono la
copertura dei camion, e in bocca al 'giustiziato' fu introdotto
un mozzicone di sigaretta. Il macabro veicolo percorse le vie principali,
con fermate al crocicchi per fare ammirare alla folla il triste spettacolo.
Si disse poi, ma non abbiamo elementi sicuri al riguardo, per quanto
la cosa in quel momento e in quel clima rovente appaia tuttaltro che inverosimile,
che, giunto il camion sulle rive del Po, il cadavere sia stato gettato
fra le onde e fatto bersaglio ai tiri di coloro che erano sulla sponda
del fiume. E infine venne ripescato e gettato sul parapetto, donde, in
una rudimentale cassa, fu fatto proseguire per l’obitorio.
Come un popolo, ricco di millenaria civiltà,
abbia potuto esprimere dal suo seno certa gente, che di umano aveva solo
le sembianze, ci appare ancora adesso, a distanza di tanti anni, inspiegabile.
LA LEGIONE N. 2 Aprile-Giugno 1997 (Indirizzo e telefono:
vedi PERIODICI)